Come dedurre le spese auto

Chiunque lavori in uno studio di consulenza fiscale saprà bene che una delle più frequenti domande rivolte dal cliente inesperto riguarda come e in che misura dedurre le spese del proprio mezzo di trasporto, e in particolare quelle dell’automobile.

In generale regna una certa confusione in materia, sia perché le norme in proposito sono numerose e differenziate, sia perché le norme stesse hanno subito negli ultimi anni delle modifiche anche caotiche, derivate congiuntamente sia dall’esigenza di aumentare la tassazione che da quella di adeguare la nostra legislazione alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea.

Ora che però, finalmente, la legge sembra aver trovato un suo equilibrio che dovrebbe durare nel tempo, è possibile fare il punto e chiarire a tutto tondo la normativa.

Precisiamo subito che il discorso riguarda esclusivamente imprese e professionisti (il cosiddetto “popolo delle partite IVA”): i privati cittadini, infatti, non possono dedurre le spese di trasporto dal reddito, se non per casi assolutamente rari, come l’utilizzo di mezzi personalizzati da parte di portatori di handicap.

In compenso, comunque, a tutti i privati cittadini è riconosciuta la detrazione dall’IRPEF del 19% delle spese per l’abbonamento al trasporto pubblico locale, fino ad un massimo di 250 euro annui: si tratta però di una norma transitoria, che potrebbe non essere confermata negli anni a venire.


Ma anche in rapporto all’auto, in realtà, c’è una piccola voce che può essere presa in considerazione, anche se è un’agevolazione poco nota: si tratta del contributo al Servizio Sanitario Nazionale che si paga all’interno della polizza assicurativa per la responsabilità civile. Questo contributo, solitamente di ammontare modesto, è deducibile integralmente dal reddito.

Ben più complessa, invece, è la situazione dei titolari di partita IVA.

Verificando la situazione di imprese e professionisti, la prima cosa da considerare è che tutte le spese relative al proprio personale mezzo di trasporto sono interessate dalla norma: le spese di acquisto, noleggio o leasing; le spese di manutenzione (come quelle presso il benzinaio, il meccanico, il gommista o l’elettrauto); la tassa di circolazione (il cosiddetto “bollo auto”); la polizza assicurativa per la responsabilità civile.

Tranne che per il bollo e per l’assicurazione (e per l’acquisto, se avviene di seconda mano presso un privato), tutte le voci citate sono soggette ad IVA. È quindi necessario scorporare il valore dell’imposta sul valore aggiunto dal prezzo totale, perché le norme sull’IVA sono piuttosto diverse da quelle previste per l’IRPEF / IRES.


La legge IVA offre una precisa definizione dei cosiddetti “mezzi di trasporto a motore”: si tratta dei veicoli a motore (esclusi i trattori) “normalmente adibiti al trasporto stradale di persone o beni la cui massa massima autorizzata non supera 3.500 kg e il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, non è superiore a otto”.

Ebbene, l’IVA relativa alle spese inerenti questi mezzi è detraibile al 100% solamente per gli agenti e i rappresentanti di commercio, nonché per quei soggetti la cui attività è quella di acquistare e rivendere questi beni (come gli autosaloni), o in cui comunque l’utilizzo di tali mezzi è del tutto strumentale all’attività, come potrebbe essere un’autoscuola.

Per tutte le altre figure di imprenditori e professionisti, l’IVA è detraibile solamente nella misura fissa del 40%.
E le motociclette? Se la loro cilindrata non supera i 350 centimetri cubici, si applica la stessa disciplina delle auto, altrimenti l’IVA è detraibile solo quando esse fanno parte integrante dell’attività d’impresa (come avviene per i rivenditori).

Una volta individuata la quota di IVA che si può detrarre, si tratta di verificare la disciplina propria dell’imposta sui redditi. La deducibilità di questi costi dal reddito procede secondo regole comuni per IRPEF e IRES, e riguarda non solo le basi imponibili, ma anche la quota di IVA che fosse eventualmente risultata indetraibile, la quale costituisce a tutti gli effetti parte integrante del costo sostenuto.

Il Testo Unico sull’Imposta sui Redditi (DPR 917/1986) distingue, all’articolo 164, tre diverse categorie di mezzi di trasporto a motore, soggette a disciplina differente.


La prima categoria è costituita da quei beni il cui utilizzo è del tutto strumentale all’attività svolta dall’impresa (si pensi, ancora, ad un autosalone o ad un’autoscuola) oppure vi rientra l’ipotesi in cui i mezzi siano adibiti a trasporto pubblico. In questi casi, poiché non si può ravvisare un utilizzo personale, i relativi costi sono deducibili dal reddito di impresa al 100%.

Il secondo caso riguarda, invece, i mezzi che sono lasciati in uso ai dipendenti: in quest’ipotesi, i costi sono deducibili al 90%, senza nessuna distinzione particolare.

La terza categoria è quella più complessa: include i mezzi utilizzati promiscuamente dall’imprenditore o professionista, parzialmente per scopi professionali e parzialmente per scopi privati. I relativi costi sono normalmente deducibili al 40% dal reddito (80% per agenti e rappresentanti di commercio), ma con alcune importanti precisazioni.

Per esempio, è stabilito che un’artista o professionista può scaricare solo le spese relative ad un unico mezzo, mentre nelle società semplici e nelle associazioni il limite massimo è pari ad un mezzo per ogni socio o associato. Per la generalità degli imprenditori, invece, queste limitazioni non esistono.
Sono presenti, tuttavia, altri limiti alla deducibilità che riguardano tutti i mezzi di trasporto che rientrano in questa terza categoria.

Quando l’imprenditore o professionista utilizza un veicolo a motore che rientra nella terza categoria descritta (quella dei mezzi ad uso promiscuo), esistono dei limiti massimi alla spesa deducibile: le eventuali eccedenze risultano totalmente indeducibili, senza eccezioni.

Il primo limite riguarda le spese di acquisto: l’eventuale costo che eccede una certa soglia è fiscalmente irrecuperabile.

Questa soglia è pari a € 18.075,99 per autovetture e caravan (€ 25.822,84 per agenti e rappresentanti di commercio), a € 4.131,66 per i motocicli e a € 2.065,83 per i ciclomotori. Se il bene è preso in leasing, questi limiti sono riferiti ai relativi canoni.

In definitiva, chi acquista una Ferrari o una Lamborghini non può sperare di scaricarsi la spesa oltre un certo tanto con la scusa che funge da mezzo aziendale.

Il secondo limite si applica quando il mezzo è preso in locazione o noleggio: anche qui esistono delle soglie massime di deducibilità, pari a € 3.615,20 per autovetture e autocaravan, € 774,69 per i motocicli e a € 413,17 per i ciclomotori. Ma attenzione: queste soglie vanno ragguagliate all’effettiva durata del contratto stipulato. Per esempio, se si prende in locazione un’automobile per un solo mese su dodici, la soglia predetta va ridotta ad un dodicesimo, cioè a € 301,27.

Una volta stabilito “quanto” si può dedurre, il secondo problema è “quando”: ossia, a quale periodo d’imposta vanno imputati tali costi. Per quanto riguarda il costo d’acquisto, esso va ovviamente ammortizzato: l’aliquota annua è pari al 25%, ridotta alla metà per il primo anno (ma questa riduzione non opera per artisti e professionisti).
Il discorso diviene più complesso quando si prendono in considerazione le voci di spesa “corrente”, diverse da quelle di acquisto.

Per quanto riguarda le spese cosiddette “correnti”, bisogna fare una distinzione netta fra imprenditori da un lato e artisti e professionisti dall’altro.

Per i primi, conta il periodo di competenza della spesa, ossia quello in cui concretamente si è fruito del servizio; per i secondi, conta invece il momento in cui si è concretamente eseguito il pagamento nei confronti del fornitore.

Se in genere questa distinzione non comporta grandi conseguenze (se un certo giorno si cambia uno pneumatico, quello è solitamente anche il giorno in cui si paga il gommista), il discorso porta a delle differenze per quelle spese “legate” ad un preciso arco temporale: si tratta tipicamente del bollo, dell’assicurazione, del noleggio, del leasing.

Perciò, se in data 1 luglio 2009 un professionista paga al suo assicuratore un anno di polizza (fino al 30 giugno 2010), l’intera spesa sarà deducibile dal reddito del 2009. Se però a fare lo stesso pagamento fosse un imprenditore, allora solo metà della spesa sostenuta sarà deducibile nel 2009, e l’altra metà nell’anno successivo, poiché la competenza di questa spesa cade a cavallo fra due periodi d’imposta differenti.

Un altro problema da considerare riguarda la cessione del mezzo: sottraendo al corrispettivo le spese d’acquisto sostenute e non ancora ammortizzate, si ottiene una differenza positiva (plusvalenza) o negativa (minusvalenza).

Ebbene, la plusvalenza è imponibile solo per la quota che corrisponde alla parte del costo che a suo tempo si era potuta dedurre: quindi, se si era dedotto il 40%, allora anche la plusvalenza è tassata per il 40%. Medesimo discorso per la deducibilità della minusvalenza.

Se il bene era posseduto da almeno tre anni prima della cessione, si può rateizzare la tassazione della plusvalenza fino ad un massimo di cinque rate annuali di pari importo.

Per scaricare dal reddito le varie spese sostenute, ovviamente, occorre documentarle. Laddove, è possibile averla (acquisto, leasing, manutenzione…), occorre la fattura.

La tassa di circolazione e la polizza sulla responsabilità civile, che sono escluse da IVA, non sono fatturate, ma per dedurre il costo è sufficiente conservare le relative ricevute.

In tutti i casi, è bene che tali documenti riportino anche la targa del veicolo cui si fa riferimento, per evitare dubbi e contestazioni.

Il discorso più complesso riguarda i rifornimenti di carburante, per i quali al benzinaio, come regola generale (con qualche eccezione), è addirittura vietato emettere fattura. Tali rifornimenti vanno infatti dimostrati con un documento apposito, la scheda-carburante, che va redatta ogni mese o trimestre, a libera scelta del contribuente.
In essa sono riportati i dati generali sul veicolo (targa, dati anagrafici del titolare, mese o trimestre di riferimento…).

Occorre anche inserire nella scheda il numero totale dei chilometri percorsi così come risulta dal contachilometri, sia all’inizio che alla fine del periodo considerato; quest’annotazione non è però obbligatoria per artisti e professionisti.

Ad ogni rifornimento, il gestore dovrà indicare sulla scheda la data, la tipologia di carburante e l’importo, nonché ad apporre il suo timbro e la sua firma.

A fine periodo, il contribuente provvederà a calcolare in coda alla scheda il totale delle spese sostenute nel periodo e a scorporare da esse l’imponibile e l’IVA.

Va aggiunto che nella vita di tutti i giorni anche i rifornimenti di olio, liquido refrigerante e altre spese analoghe sono inserite direttamente sulla scheda-carburante, anziché fatturate a parte, per evidenti motivi di semplicità; ma è una prassi sulla cui legittimità sussiste qualche dubbio.

Ma come fare quando l’automobilista si serve direttamente al self-service, senza che il benzinaio sia nei dintorni?

Il problema indicato è frequentissimo e ha suscitato parecchi dibattiti. Una risposta esauriente è stata offerta dall’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 205/1998: secondo la scrivente, la scheda-carburante non è mai utilizzabile quando non è presente il personale di servizio della stazione di rifornimento; tantomeno si può ammettere che provveda il contribuente a compilarla da sé.

L’unica soluzione per documentare le spese del carburante acquistato al self-service è quella di conservare la ricevuta o scontrino emessa in automatico dal distributore e, in un secondo momento, presentarla al gestore perché quest’ultimo emetta la fattura inerente l’operazione.


Infatti, il divieto per costui di fatturare queste cessioni non opera nelle situazioni in cui è esclusa per legge la possibilità di utilizzare la scheda-carburante, come appunto nel caso di specie.

L’ultimo problema fiscale legato all’utilizzo dell’automobile non concerne il “popolo delle partite IVA” bensì i lavoratori dipendenti e le figure assimilate quando utilizzano una macchina aziendale.

Quest’ipotesi rientra fra quelle dei cosiddetti “fringe benefit” a favore dei dipendenti, soggetti a tassazione in modo forfettario: il valore tassabile di questo fringe benefit corrisponde al 30% del prodotto fra 15.000 e il costo chilometrico calcolato annualmente dall’Automobile Club d’Italia per quel tipo di veicolo e con riferimento alla percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri.

Ad esempio, se al dipendente è concesso l’uso di una Ford KA di proprietà aziendale, poiché il costo chilometrico attribuito attualmente dall’ACI a questo tipo di vettura e riferito a 15.000 chilometri di percorrenza è pari a € 0,334865 per chilometro, il risultato dell’operazione descritta (costo chilometrico * 15.000 * 30%) è uguale a € 1.506,89 che costituirà il valore da tassare a carico del lavoratore, al netto di eventuali spese da lui sostenute e rimaste a suo carico.

Alcuni approfondimenti commerciali:

 

Articolo scritto da: Giuseppe Aymerich venerdì 27 febbraio, 2009

Fonte: http://www.retearchitetti.it

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