Mercato edile: previsioni per il futuro

Quale futuro per il mondo delle costruzioni in Italia? Le leggi varate dai governi potranno davvero rappresentare uno stimolo per rilanciare gli investimenti nel settore?

Malgrado gli annunci del Governo intenzionato a ridare slancio al mercato delle costruzioni con il “piano casa” e con il rilancio della “legge obiettivo”, riesumando all’occorrenza anche il mercato delle concessioni e altre opere di indubbia cantierabilità, il 2008 non è stato di certo un anno semplice per il settore che nell’ultimo trimestre ha accusato il colpo della crisi dei mercati internazionali.

 

 Se la legislatura precedente - finita prematuramente – sarà ricordata per l’”accidia” con cui ha affrontato la questione infrastrutturale, ridimensionando l’elenco irrealistico delle 228 opere strategiche messe in pista con la “legge obiettivo” e revocando le concessioni dell’alta velocità dei primi anni ‘90, quella attuale continua a fare leva (almeno mediatica) sul rilancio dell’economia attraverso il potenziamento della dotazione infrastrutturale. Cavalcando cioè quel principio tanto caro agli economisti di estrazione keynesiana secondo il quale quando i consumi non “tirano” il policy maker deve incentivare gli investimenti in capitale fisso perché, essendo al contempo sia capital che labour intensive (con una certa dose anche di spesa pubblica) creano occupazione e reddito e, di conseguenza stimolano la ripresa dei consumi. 

 

Malgrado i buoni propositi l’Italia continua a essere fanalino di coda nella spesa in “capital goods” (comprendenti anche mezzi di trasporto, macchinari, impianti, ecc.); nel 2008, secondo le recenti analisi di Eurostat (l’istituto statistico della Commissione europea), la voce “investimenti fissi lordi” nel bilancio italiano incide per il solo 2,2 per cento del pil, a fronte di una media del 2,5 per cento dell’euro-zona e di un 3,2 e 3,8 per cento rispettivamente per Francia e Spagna. 

Stessa sorte spetta agli investimenti in costruzioni: i 153.458 milioni del 2008 (52,1 per cento degli “investimenti fissi lordi” complessivi), incidono per il 10,9 per cento sul totale degli impieghi del pil, quasi un punto percentuale al di sotto della media europea a 15 Paesi che si attesta all’11,7 per cento. Di questi, si legge nel “Secondo rapporto sulle infrastrutture in Italia” dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili), il 18,7 per cento (28.729 milioni) è relativo a opere pubbliche, in discesa del 5,1 per cento rispetto a un anno prima, confermando un trend negativo iniziato già nel 2005 e destinato ad aggravarsi ulteriormente nell’anno in corso; infatti, il decreto 185/2009, il cosiddetto decreto “anticrisi”, porta a quantificare per il 2009 nuovi investimenti infrastrutturali per 16.824 milioni, una riduzione del 13,4 per cento rispetto al 2008. 
Complessivamente il piano “anticrisi” destina 11 miliardi alle infrastrutture; di questi nove derivano dalla riprogrammazione delle risorse del fondo Fas (Fondo per le aree sottosviluppate) che devono essere destinati – per vincolo normativo – per l’85 per cento al sud, mentre solamente poco più di due sono aggiuntivi alle risorse già esistenti. 
La disponibilità complessiva sale poi a circa 18 miliardi perché vanno a sommarsi ulteriori sette miliardi di risorse private provenienti dai concessionari autostradali. Per avere un’idea dell’insufficienza di queste risorse è utile un confronto: la Germania per esempio ha previsto un piano “anticrisi” che investe circa 24 miliardi in nuove infrastrutture e/o nella riqualificazione di quelle esistenti, mentre Obama – appena eletto - ha messo in piedi una versione moderna del new deal con il più sostanzioso programma di investimenti in infrastrutture dagli anni ’50 (puntando talaltro anche sul potenziamento delle reti di fornitura delle public utilities e sugli impianti energetici a basso impatto ambientale e non sulle sole opere trasportistiche).

Ma il peggio per il settore delle costruzioni italiane deve ancora venire, dato che alla penuria degli investimenti domestici va ad aggiungersi un clima di recessione globale che mette in dubbio la strategia ormai percorsa da buona parte dei player italiani delle costruzioni che sopperiscono la staticità del mercato interno cogliendo occasioni di business all’esportazione. Quanto al mercato domestico, già il 2008 si è chiuso con una flessione del 2,3 per cento (in valore), malgrado la crisi abbia interessato poco più dell’ultimo trimestre del 2008. Per il 2009 l’Ance prevede un ulteriore peggioramento con un mercato contratto di circa il 5 per cento in valore (curiosamente lo stesso dato che la Banca d’Italia ha previsto in questi giorni per la contrazione del pil) e in misura superiore al 7 per cento in quantità. Probabilmente gli effetti della recessione economica di questi mesi, inizieranno a palesarsi nei prossimi esercizi quando le imprese smaltiranno i lavori che hanno nel portafoglio “frustrato” dalle mancate acquisizioni degli ultimi tempi. 

I campioni italiani
Malgrado quanto sin qui detto, l’analisi dei bilanci 2008 delle prime 15 imprese generali di costruzioni elaborata dalla società Guamari con il coordinamento scientifico del professor Aldo Norsa, prodromica al consueto “Speciale Classifiche” di Edilizia e Territorio – Il Sole 24 Ore - mostra un buono stato di salute del vertice delle costruzioni italiane: risulta infatti un aumento del 12,4 per cento del fatturato consolidato, grazie al successo di alcune “riuscite” operazioni di M&A (mergers&acquisitions) passate e presenti e alla maggior penetrazione dei mercati d’esportazione, arrivati a interessare il 39,9 per cento del fatturato (dal 37,5 per cento del 2007). 

Andando nel vivo della classifica, il 2008 si caratterizza per una certa staticità del vertice: in prima posizione si conferma Impregilo (sempre più internazionalizzata) a cui seguono Astaldi che contrariamente alla prima si rafforza più in Italia che all’estero e Pizzarotti, che dopo la difficile “metabolizzazione” di Garboli fa fatica a crescere. Giù dal podio troviamo – nelle stesse posizioni del 2007 - Condotte (gruppo Ferfina), che nel 2008 è riuscito a mantenere lo status quo grazie all’acquisizione della maggioranza del capitale di Cossi Costruzioni che le ha portato un fatturato – quasi tutto in Italia – di 110 milioni, Salini (terza per esportazione e leader nella realizzazione di dighe), che prepara la fusione con Todini rispolverando le spoglie del consorzio Risalto orfano però di Rizzani de Eccher e – confermandosi prima tra le cooperative della Lega – la ravennate Cmc, nota alle cronache anche per essere stata la prima ad aggiudicarsi il primo contratto della “legge obiettivo”. Bisogna scendere alla settima posizione per trovare il primo cambiamento: fa ingresso nella top 10 un’altra cooperativa emiliana, Cmb, che festeggia il centenario della sua fondazione, costituendo con Unieco e una sua controllata, Clf, leader nell’armamento ferroviario al cui capitale partecipa l’olandese Strukton, il consorzio stabile, Eureca. In ottava posizione troviamo Bonatti che chiude il 2008 con un fatturato in crescita del 40,3 per cento, sempre meno un’impresa di costruzioni e sempre più orientata al business dell’oil&gas anche attraverso la controllata Carlo Gavazzi Impianti a cui fa seguito la cooperativa reggiana Unieco. A chiudere la top 10 è la toscana Baldassini Tognozzi Pontello, le cui difficoltà sono aggravate anche dal fallimento dell’”affaire Cogel” (gruppo Gilaf, già nel consorzio Operae) recentemente acquisita e già messa in liquidazione. 
Dall’11° alla 15° posizione troviamo Mantovani, leader nei lavori marittimi, potendo contare sul mercato captive che le assicura il Consorzio Venezia Nuova, la friulana Rizzani de Eccher (seconda per percentuale di fatturato all’estero, preceduta solo da Salini), Consorzio Etrutria, (che malgrado il nome è una cooperativa e non un consorzio) che ha potenziato le competenze nei lavori pubblici con l’acquisizione di Coestra nel 2006 e si è specializzata nella nicchia specialistica dell’edilizia grazie all’acquisto nel 2000 di Inso (già del Nuovo Pignone), Coopsette, tra le cooperative più diversificate del panorama italiano delle costruzioni e, infine, la vicentina Maltauro; proprio quest’ultima è quella che fa segnare il maggiore exploit con un balzo della produzione del 63,3 anche grazie alle acquisizione del 2007 dei rami d'azienda di Ferrari/Ira e di Torno Internazionale (oggi Torno Global Contracting) tramite il consorzio Infrastrutture (a cui partecipa anche Impresa). 

Sul piano economico anche nel 2008 nessuna delle prime 15 imprese generali chiude il conto economico in perdita; gli utili si incrementano – su base cumulata – del 38,3 per cento portando il rapporto utile/fatturato al 3,3 per cento (dal 2,7 del 2007). “Campionessa” di redditività è Bonatti con un rapporto utile/fatturato superiore al 7 per cento (confermando la maggior redditività dell’oil&gas rispetto alle costruzioni), mentre fanalino di coda è Coopsette che trasforma in utile poco più dello 0,2 per cento del fatturato. Sul piano patrimoniale si segnala una posizione finanziaria aggravata complessivamente del 25,1 per cento e che vale poco più del 15 per cento del fatturato cumulato complessivo. Quanto agli aspetti commerciali il 2008 si chiude con un portafoglio ordini rinforzato del 5,7 per cento che dovrebbe garantire circa cinque anni di attività e a cui i costruttori faranno fronte con una forza lavoro cresciuta dell’8 per cento, un segnale positivo per un’economia – quella italiana – che probabilmente vedrà crescere il tasso di disoccupazione al 10 per cento.

 

 

18/06/2009

Giuseppe Pedeliento 

Fonte: http://www.eccellere.com

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