Shale gas (gas di scisto). Cosa è, come viene estratto, quali sono i vantaggi e le problematiche

La rapida ascesa del gas di scisto come fonte alternativa d’energia – ampiamente dibattuta dagli addetti ai lavori nell’ultimo decennio – sta gradualmente diventando oggetto di discussione pubblica, specie nel nostro continente. Un recente rapporto dell’Economist spiega perché il gas di scisto (noto a livello internazionale come shale gas) riceva tanta attenzione dai decisori, dagli investitori e dall’opinione pubblica. Pur senza apportare contributi tecnici particolarmente nuovi, lo speciale ci propone un efficace compendio sulle ultime evoluzioni nella commercializzazione di questo combustibile fossile, offrendo poi una vista d’insieme sulla congiuntura attuale con aperture sugli scenari futuri.

Esso è dunque un buon punto di partenza per chi vuol essere iniziato a una fonte non convenzionale che, a detta di molti osservatori, è destinata ad imporsi come game-changer nel panorama energetico internazionale.

Il potenziale rivoluzionario del gas di scisto è emerso in maniera lampante in Nordamerica nella seconda metà dello scorso decennio. Il suo avvento ha impresso una svolta epocale sul mercato energetico statunitense. Una serie di fattori concomitanti e difficilmente riproducibili è all’origine di tale avvento, a partire da un ampio accesso al capitale e dall’intraprendenza imprenditoriale di singoli individui. Fondamentali sono stati anche i progressi nelle tecniche di estrazione, quali la fratturazione idraulica e la trivellazione orizzontale, che hanno ridotto sensibilmente il break-even price (ossia il prezzo che rende redditizio commercializzare la riserva). Alcuni fattori strutturali distintivi del mercato nordamericano hanno giocato un ruolo fondamentale, tra cui la pregressa liberalizzazione dell’accesso alla rete dei gasdotti e un mercato del gas già liquido e ampiamente impostato su prezzi spot. Anche la geografia ha fatto la sua parte: la coincidenza dei maggiori giacimenti con le linee di passaggio dei gasdotti, la vicinanza del giant field Marcellus con la costa atlantica e la scarsa densità di popolazione hanno reso più facile l’estrazione e la distribuzione. Infine, una legislazione decisamente favorevole che riconosce ai proprietari dei terreni il possesso di tutte le risorse minerarie del sottosuolo ha incoraggiato le cessioni e accelerato lo sfruttamento. L’assenza di molti di questi fattori in Europa rende difficile una trasposizione dell’esperienza d’oltreoceano nel Vecchio Continente. Eppure il modello statunitense è, per molti versi, appetibile.

Innanzitutto, in seguito al boom nell’estrazione del gas di scisto, il prezzo del gas in Nordamerica è letteralmente crollato – attestandosi infine sui 2-3 dollari per milione di BTU, ossia il minimo decennale. Secondo IHS Global Insight, tale flessione avrebbe permesso ad ogni nucleo familiare americano di risparmiare una media di 926 dollari annui. Un pregio dell’analisi dell’Economist è la cognizione dell’importanza dell’abbassamento dei prezzi del gas per il rilancio della competitività di importanti settori industriali. In quello che pare un eccesso di entusiasmo, la testata britannica arriva addirittura a suggerire che lo sviluppo del gas di scisto possa essere una delle chiavi di volta per uscire dall’impasse manifatturiera. È d’altronde innegabile che l’industria petrolchimica americana, che arrancava ormai da anni, si è potuta finalmente avvalere di feedstock a buon mercato. I produttori hanno così potuto affrancarsi dalla nafta, un derivato del petrolio soggetto alla volatilità dei prezzi dell’oro nero che soleva riflettersi drammaticamente sui prezzi dei prodotti finali. Considerando che i prodotti petrolchimici alimentano altri compartimenti cruciali – dai fertilizzanti agricoli all’automobilistica –, l’indotto positivo del crollo dei prezzi del gas è di entità ancora maggiore di quanto non sembri a prima vista. In questa prospettiva, Pricewaterhouse Coopers ha stimato che gli effetti diretti e indiretti della shale revolution porteranno alla creazione di oltre un milione di posti di lavoro negli Stati Uniti entro il 2025.

Un effetto ancor più significativo dell’avvento del gas di scisto è rappresentato dalla riduzione radicale della dipendenza degli Stati Uniti dagli idrocarburi d’importazione. In pochi anni, volumi consistenti di gas nazionale a prezzi competitivi hanno invaso il mercato americano. Da importatore cronico quale era, l’America potrebbe persino trasformarsi in esportatore netto di combustibili fossili – cosa che fino a cinque anni fa avrebbe suscitato l’ilarità di qualsiasi analista dotato di buon senso. Le ripercussioni di un simile sviluppo sulle relazioni internazionali potrebbero assumere una portata storica. Secondo alcuni analisti, lo shale gas permetterebbe agli Stati Uniti di disimpegnarsi significativamente da regioni problematiche quali il Medio Oriente. Se poi anche la Cina avviasse progetti di estrazione delle proprie (ingenti) riserve di gas di scisto, si allontanerebbe lo spettro del paventato scontro finale per il petrolio arabo tra Pechino e Washington. Pur trattandosi evidentemente di congetture assai vaghe, è chiaro che una maggior autosufficienza energetica rientra negli interessi strategici statunitensi. Come riportato dall’Economist, Obama ha trionfalmente dichiarato nel suo ultimo discorso sullo stato dell’unione che grazie al gas di scisto il suo Paese ha ormai riserve di oro blu per oltre un secolo.

Il terzo aspetto importante della shale revolution risiede nella diversificazione del mix energetico. Un incremento della proporzione del gas nel ventaglio delle fonti primarie viene letto in segno opposto da diverse scuole di pensiero. Da un lato, tale sviluppo è considerato positivo da chi crede che il gas possa agire da sostituto a petrolio e carbone – che generano emissioni di gas serra molto maggiori. Dall’altro, gli scettici denunciano che per quanto relativamente più pulito, lo shale gas è pur sempre un combustibile inquinante, e temono che la sua fortuna possa eclissare quella dell’energia pulita. Dall’osservazione delle dinamiche registrate nel mercato americano, pare effettivamente che il successo del gas stia andando a scapito del carbone (crollato dal 50% al 42% nel mix di fonti utilizzate per produrre elettricità), ma le preoccupazioni della seconda scuola di pensiero sono altrettanto ben fondate. Un altro vantaggio specifico del gas è la sua flessibilità. Esso può essere agevolmente usato nel riscaldamento delle abitazioni e nelle caldaie industriali, nonché come materia prima in alcuni settori industriali e nei trasporti pubblici, ma soprattutto nella produzione di energia elettrica con costi ambientali relativamente bassi grazie ad avanzamenti tecnologici come il ciclo combinato.

Infine, un’altra conseguenza rilevante dei recenti accadimenti è consistita nell’accentuazione delle peculiarità del settore energetico americano – tra cui la liquiditàe la prevalenza di prezzi spot a scapito dell’indicizzazione al prezzo del petrolio, con la centralità dei benchmark nei meccanismi di pricing. Un modello di questo tipo è l’opposto di quello dominante in Europa continentale, caratterizzato da contratti a lungo termine e indicizzazione al prezzo del petrolio. Un modello all’americana imperniato sulla gas-to-gas competition ci permetterebbe di ridurre la dipendenza da fornitori problematici come Gazprom e dalle oscillazioni del prezzo del greggio. L’Europa potrebbe beneficiare di contratti più flessibili con prezzi più bassi e impegni d’acquisto di minor durata, dato che la minor dipendenza dalle pipeline extra-europee renderebbe meno impellente il bisogno di forti investimenti iniziali e dunque di contratti a lungo termine con clausole svantaggiose come le take-or-pay (che ci vincolano a pagare una quota minima di gas ai nostri fornitori anche laddove la nostra domanda fosse inferiore).

Eppure l’Europa non sembra voler seguire l’America. La Francia ha già messo al bando il gas di scisto, seguita quest’anno dalla Bulgaria. Disegni di legge restrittivi sono allo studio in altri Paesi europei, e lo scetticismo sembra prevalere anche tra i vertici dei principali Länder tedeschi. L’opposizione al gas di scisto è suscitata principalmente dalle preoccupazioni per la sua pericolosità per l’ambiente. Innanzitutto si teme che la fratturazione idraulica possa cagionare dei terremoti, dopo che Cuadrilla ha effettivamente dovuto sospendere le proprie attività estrattive per dei forti tremori registrati in Inghilterra. In secondo luogo l’estrazione di gas di scisto rischia di essere accompagnata da ingenti fughe di metano, il cui volume è stato stimato da uno studio della Cornell University in più del doppio di quello prodotto dall’estrazione di gas convenzionale. L’estrazione di shale gas implica inoltre maggiori emissioni di diossido di carbonio, sia perché c’è bisogno di più pozzi che nel gas convenzionale, sia perché la fratturazione idraulica consuma molta energia. Le preoccupazioni maggiori riguardano tuttavia il rapporto tra gas di scisto e risorse idriche. Innanzitutto, la fratturazione idraulica richiede un uso massiccio d’acqua (circa 22 milioni di litri per pozzo). In secondo luogo, si teme che gli additivi chimici utilizzati nell’estrazione possano contaminare le falde acquifere. Impellenti questioni ambientali come queste sono decisamente sottovalutate dal report dell’Economist. La realtà è che – ad oggi – non si sa quanto il gas di scisto sia dannoso per l’ambiente. Né i suoi promotori né i suoi detrattori sono finora riusciti a dimostrarne con sufficiente certezza la sostenibilità o l’insostenibilità ambientale. Ed è chiaro che l’onere della prova spetta ai produttori.

Il gas di scisto ha innumerevoli vantaggi, come insegna l’esperienza americana. È innegabile che un suo avvento in Europa aiuterebbe a risolvere l’annoso problema dell’approvvigionamento energetico. La sensibilità europea per le questioni ambientali, tuttavia, non dev’essere né irrisa né bollata come avversione per la modernità. Permanendo interrogativi insoluti di sostenibilità ambientale, occorre misurarsi con la questione senza pregiudizi, ma con prudenza.

20/08/2012

Fonte:

http://www.retearchitetti.it

 

Seguici su Facebook